La passeggiata di Patricia

Sono stata amata anche stamattina
mentre passeggiavo tra la natura indulgente
e lo stesso sciocca arida presuntuosa, come l’umanità
che ti sfiora nella fretta e tu ingoi e solo poi assimili
occhi pieni di buio e passi leggeri di luce.

-Adoro dire cose che non servono a niente-.

Simboli

Il gusto di una panchina
era di ferro o marmo, prima di te.
Baciata dal sole, certo
profumata col giornale della domenica, certo
probabile epicentro di bambini che si rincorrono
ma priva di quella grazia concessa solo dalle nostre dita,
una voluta o un fregio perchè l’opera si compisse.
E quando fu di scuotere le membra e ripartire
disegnammo gli infiniti sulla materia
e facemmo di sciocchezze la nostra beatitudine
d’accordo col tramonto che tutto sopisce.

“La scatola dei ricordi”

La scatola dei ricordi
rimane sempre un po’ aperta
al vento sottilmente umido che svolazza lembi
e suggella foto al cuore.
Quante lacrime fa…
non le hai smesse mai di piangere
ma ora il gusto ripesca in gola
il tepore di biscotti e cose semplici.
Rughe lentiggini
tempo di carta sotto le dita ferme
è il respiro il focolare che scalda ancora
e stasera allarghi le braccia su noi due
il sorriso sull’uscio lo sguardo di chi è a casa.

La spremuta

Dell’arancia
quel succo tra polpa e buccia
è dolce ma brucia pure le labbra
come un istante degli occhi con te sotto le ciglia
e in quello dopo la pienezza del buio.

Mentre passeggio

Se sia il caso
a riporre due colombi sullo stesso ramo
o piuttosto gli anelli che portano al collo
nel giungersi in atto di fede
questo mi chiedo e interrogo le foglie
che malandrine volteggiano auspici.

Le rose di Sirte

A Sirte le rose non sanno il colore
a Sirte nascono rosse, iniettate di vene
come diventa lo sguardo quando fissa il dolore.
Nella fuga le rose sgualciscono la strada
balbettano i boccioli al buio di un pertugio
che la bestia annusa e trova e lecca con violenza
di saliva nera è fatta la rugiada.
Le vere spine sono quelle che rimbalzano il corpo
allo stillicidio di essere un possesso
lo stelo piega l’arma ma non il capo
e incrosta di un sorriso la sua morte.

Il Cristo stanco

C’è l’alito di un Cristo stanco
nelle candele che fiammellano penombra
nei tarli che leccano il balsamo liturgico.
Stanco
dissolve braccia e gambe dalla croce
per arginare il cielo innevato
le rocce che urlano.
Sono absidi in rovina
le chiese e i nostri corpi febbricitanti ostie,
inutile spalare
quando sotto la neve non cresce più il pane.