Il mio limite

Tienimi sul petto
l’amore sa farlo a ogni condizione
ma tu, tienimi sul petto
di più quando non ci sono
e chiama i dettagli
dei fiori concisi in inverno
del mare sgargiante di luce
delle parole da cui nascemmo.
Tienimi, con lo stesso calore
dell’asfalto che rinuncia al suo male
un po’ alla sua indole -forse-
e accoglie tiepido il riposo d’una farfalla.

Ti chiederò di tenermi dentro al petto
quando sarà troppo, troppo tardi troppo presto
troppo il tutto o troppo il niente.
Una finestra e dell’acqua nel bicchiere
un riflesso, te li chiederò a ogni costo
perchè il cielo è un mio limite
e pure tu.

Cosa non è stato ancora scritto

Se i poeti gli scrittori
chi incasella l’anima nell’inchiostro
rotolasse parole su ogni pagina lasciata bianca
la materia dei versi delle frasi dei titoli
colmerebbe l’orizzonte;
guerra, pace, uomo, sarebbero i tempi
per fare liquido il cuore di sinonimi e contrari.

Tutto sarebbe stato letto dietro lenti di lacrime
sottolineato da impronte, una mai uguale all’altra
tutto sarebbe stato scritto, tranne la verità.

L’Amore Vero

L’Amore Vero
si lima la carne si pettina il sangue
inscheletrisce alla sera quando il tramonto comanda a sè
ogni nota di rosso.
Una figura dalle labbra di cenere
lo specchio si bagna di questa luce
ingrigita, le guance ossute si alzano appena
in un sorriso fino alla mente.
L’Amore Vero scatta
torna agli occhi il sapore del fuoco
i gradini alti da perderci il fiato
ma più non sa stare. Scende tra i vicoli ascolta le mura
e bussa alla carne della sua nuova casa.

(foto di Marco Grosso)

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Non avevo una favola

Non avevo una favola in testa
ritagliavo le stelle dai fari
con dita bambine, fino al soffitto
per vedere l’effetto del castello incantato.
Mai broccati frusciavano tra i miei passi
i capelli incolti di spazzola
i gomiti sul tavolo e in ragione di un volo
le favole erano mansuete, nel bel recinto di un libro.

Quante favole ho per la testa
soldati cavalieri, quanti prodi a parole
ma della polvere magica con cui m’hanno fatta regina
è rimasto solo il prurito nel naso.

Millenovecentonovantatre attimi di Veronica

Barcollo tra i marosi della droga
bevo respiro inghiotto per ostruire ogni poro
ogni orifizio, sennò c’entra
che sono disperato di te.
Due puttane coi tuoi capelli in testa si baciano sul letto
il diafano sui corpi mi tenta e terrorizza
vorrei leccarlo sputarglielo via col mio seme.
La troppa carne su questi visi mi acceca non riesco ad andare
rimango in poltrona, le zampe di mosca incrostate dall’alcool
le ali sbreccate dalle vertigini
sotto la tua figura muoio
tra le due figure sono finalmente zero.

Di figlio in padre

Ricalco sulla finestra
il vento della terraferma
corpuscoli di giochi che preannunciano papà.
Con lui sulla spiaggia inclino il sole
e nelle ombre siamo alti uguali
è tutto facile e possibile tra le sue mani forti.
Per un giorno voglio diventare il suo lavoro
capirlo quando guarda la mia camera
quando sceglie un giocattolo per il viaggio
quando chiude la porta e leggermente trema.
Piano, però! Voglio che quel giorno sia lontano
almeno come lui è più alto di me.
Ora ho voglia di pasta col sugo
mangiarla insieme a lui
e quando gli guardo il naso rosso
ridere di gusto perchè è il mio clown.

Il barattolo

Forse un’urna, avrei potuto scegliere
un’urna, di quelle che bussi e rintocca
l’eterno riposo.
Un barattolo sottile un vetro di luce
ho scelto uno di quelli in cui si conservano
le messi al calare della stagione.
Capelli unghie, li lascio alla rinfusa
quegli affetti che continuano a crescere
dopo che sei morta:
penso alle carezze sui capelli
elargite come altalene per cogliere la luna
penso che sotto le mie unghie annusavi la caparbietà.
Chiudo il barattolo
lo immergo nel sole a sobbollire i ricordi.
E quando sono pronta
che stai per dire di servirmi alla tua tavola
stringo un fiotto di luce e riduco in cenere
la grazia per cui ero ai tuoi occhi.

Fiordipelle

Se solo ti voltassi a cosa mi è successo dentro
vedresti il mistero di fiori sottopelle
risolversi sulla bocca delle rughe;
piccoli, diafani petali stringersi in una fitta corazza
e profumare le ossa.
Se solo capissi che continuo a sbocciare ma fuori strino
allevieresti la mia linfa al cielo
e con le iridi fragorose di primavera
ti salverei.

I legni

Le tue mani di uomo si ispirano a una ciotola
nelle carezze che accolgono il mio ventre girovaghi, aumenti il passo.
Mi annodo concentrica, primordiale intaglio
ricoperta di girandole, quante ne colorano le tue dita
distendo i legni alla luce del peccato, le tentazioni seccano.
Snodo nella bonaccia di pelle.

La vallata

Ho brama
di fare della lingua una vallata
stare ai tuoi crepacci come natura che attende le stagioni
in cadenza e conosciute, eppure lesta
a disarmarne i presagi.
Insinuare nebbia sulla tua pelle calda
per vederci decollare un volo di nuvole, quelle senza brusii
d’annunciare pioggia.
La pioggia, ecco! Scovarmela addosso
fatta fiume perchè nel frattempo ti sei insinuato
hai messo radici sulle mie labbra.
E più non governo il ciclo di vita del piacere.