Il respiro
mi colora gli occhi
di te.
Angelo,
ali di latte ti rassicurano le spalle
mentre volteggi nell’aria
che sa di miele e fiabe.
Farfalla, sei ali di neve
che sciolgono il fuoco del rimorso.
Una farfalla sul cuore di un angelo
gli acquieta il singhiozzo dei sogni
lo imbocca del sole gustato sui muri.
Mani giunte
cercano l’ascolto del Tempo che è dietro di te.
Tacciano gli attimi
si rifugino timorosi nelle sottane delle stagioni.
Nell’intorno di Noi scorra il Tutto
abbracciato dalla certezza di ciò che siamo.
Tra Noi sorga un sentiero di ciottoli da niente,
perché i piedi non siano traditi
ma assecondati nell’istinto.
Fuggano i grani dalla clessidra, diventino preghiera
nel legno che mi scivola tra le dita.
Zittisca il vento al cospetto dei respiri
le nubi si ricaccino in gola il temporale.
Labbra seminino fiori nelle rughe
io a te, tu a me
come se l’unico ricordo fosse il presente.
Come se ogni specie vivente, ogni emozione fosse già nata,
e l’universo aspetti
solo il mistero di un fremito nei nostri occhi.
Corro
incontro a come tu mi vedi.
Mi accarezzi
con schegge di specchi
che ti respirano negli occhi
forgiando asperità e pace.
Una manciata di dita
si disperdono sulla guancia
come serpi smaniose
intorno alle rocce.
C’è ansia di acqua nel mio fiato,
di sporgermi sul tuo placido andare
per far combaciare i miei contorni
ai tuoi pensieri.
Dove finisci tu, lì comincio io.
Siamo luoghi di punti
senza punti in comune
se non per il sasso
che scagli nel mio acquitrino.
E’ rabbia che ti bestemmia tra le dita
le tempie sono chiese sconsacrate
ingoi pianto come al tuo battesimo.
Io, solo cuore,
giaccio sul ciglio della tua tempesta
le unghie sono denti
assaporano i palmi delle mani.
Chissà quando mi entrerà in circolo
ciò che eri ieri.
Su Berlino
un telaio suonato da familiari dita
perché il cielo abbia gli stessi colori
della strada di casa.
Su Berlino
un angelo che offre la corona
perché se tu non ci sei
la realtà mi detronizza.
Sole, poi stelle
bottoni di luce su Berlino.
Sazi, nel tuo cuore
dopo aver peregrinato in chissà quante asole.
Pace
per le tue stanze rinfrescate di luce.
Baciarti gli occhi,
sospirarci su
l’indolenza di un lago
è desiderio per le mie labbra
che ti fissano e si sfregano
come zampe di cicala
madri di lattiginosa nenia
che ti sazia di carezze.
Danza un adagio
la mia bocca
libera farfalle conosciute e ancora da scoprire.
Brividi, in gola.
Polline d’Anima
mi s’acquieta sul ventre
e già s’annoda
nella prima corda
in cui pulsa la vita.
Aggrapparmi alle impronte degli sguardi.
Altro non resta
se voglio fuggire dalle tue lacrime
che lusinghiere mi fanno barcollare
verso il fantasma del nostro amore.
Non resta che
farmi colare sabbia bagnata nel petto,
darle forma di cuore.
Potrò così dire di avercelo ancora
un cuore, immune al transitare
di lunatiche maree.
Resta la ruggine nelle ossa
se l’acqua spesa per cacciarti via
ha indugiato troppo
sugl’ingranaggi del ricordo.
Rivoli d’estate sopra le tue spalle
sono le mie braccia, catturano
le intenzioni del restare.
Chiedermi dove andresti mai senza di me
sarebbe come guardare una goccia nel fiume.
Perché e come
andresti mai?
Eccole, le fitte alla gola
che sfilaccio tra i denti
docili gomene imbevute di sale.
Mi porgi l’adesso
dal tuo occhio riflesso
al sorriso sfugge una stola di cobalto
s’adagia sul ponte
come musica e cielo.
Settembre, quel venerdi
in cui s’addormenta l’estate
incrocio gli occhiali
di un uomo dalle impronte di bastone.
Le sue intenzioni
mi sorridono sull’anima
quasi fosse lo specchio
del futuro che non vedrà.
Quel venerdi
in cui s’addormenta settembre
incrocio un bastone
aggrappato ad un uomo,
una bretella che ciondola
diventando rintocco
della storia che gli rimane da vivere.
Settembre è ora
venerdi è ora
ma non sarà mai l’ora
di riprendermi la carezza
che gli ho lasciato sugli occhiali,
sul bastone
sulla bretella
sul vestito di legno.