Hai la voce del mare
sei bonaccia, marea, burrasca
soggiogato dalle favole
che ti canta la luna.
Cielo. Viscoso
s’appiccica a grumi sulle mie dita
sovverte contorni e anfratti
percuotendomi d’intemperie.
Slitto nella gola della rupe
di Sparta, di Dovunque
nello sguardo entrano
nuvole di roccia
fuliggine d’unghie.
-Non sapevo che dove finisce la fine iniziasse un nuovo inizio,
che se si supera il buco nero prodigo di sputi e percosse si rinasce, sospinti dalla placenta del cielo.-
Regalo ciglia all’alba
che bussa al sogno e alla mia stanza,
calpestano quiete
due gambe di jeans e uno zaino.
Il Perdono respira
tra gli snodi di un portone,
ride come il gioco di bimbo
a tirare gessetti in quadrati numerati.
Occhi e labbra mai toccate
padre, figli, sfiorati solo
quando tutti eravamo vapore.
Sorge comunque il giorno
anche tra colline di ‘ chissà ‘
e il Perdono elargisce rugiada
al crocicchio delle mie scapole.