Il mio veliero (Marco Ambrosi ed io)

Parlami del mare…
quel poco che basta per disertare
mentre l’ancora sfugge all’abisso,
guarda il mio faro
che illumina la non ragione.

Vorrei essere un veliero
per farmi cullare dalla sua forza
e se il coraggio annega
vorrei distrarmi per l’ultimo abbraccio

Salsedine
melodia di squame
abbasso il mento
che richiama la tua chioma fremente

delirio di narici contratte
offendono il mio respiro
che muta

Non conta il mare
neppure le necessarie convinzioni
non conta ….nulla

Keep calm &use a cold water (una celia)

Cala l’imbrunire sul campo di grano
meritato riposo per le vene del re
che cinge di baci il collo della sua regina.
Assoluto è il guardarsi
tranne che per l’atomo d’occhio
rivolto all’acquitrino, in cui piccineria
ribolle di fame.
S’acciglia il sovrano
ma pronta è la carezza di lei
nel sussurrargli…

“Che mangino brioches!”

Passo a due (Marco Ambrosi ed io)

Entra con il solito fare
e annuncia la sera,
la sua voce
non ode l’umore che cambia
e lascia parlare la sua tela dipinta
nel crepuscolo
di una dolce promessa.

In estasi
la veste femminea
depone all’orizzonte la cangianza
e sullo scoglio sboccia un brivido
di natura ormai terrena
perché sia saziato dall’ombra
che langue l’attesa
di riascoltarsi uomo.

Prima e dopo il sempre

Nebulizzo un’alba di inchiostro
al centro del bianco
le spalle si destano
sotto il prevaricare del tuo respiro
che sceglie con dovizia i pori
contorna di passi le nuvole
di insenature e foci le lenzuola
di vestigia d’Eden la tovaglia.
Serro gli angoli del foglio
non s’arrendono i denti
alla dinastia di accenti
che imponi alla mia voce.

…grave
…acuto

…oltre

l’acmè è stridore
di tutte le ossa in bocca
forzano lo spazio del bianco
perchè il sempre abbia il suo prima e il suo dopo.

Courtesy photo: Marco Ambrosi
download

In bicicletta

Toglie un piede, poi l’altro
il filo d’erba sulla zolla
a cercare l’equilibrio
tra le sospensioni del vento.

Tolgo un piede, poi l’altro
dai pedali della bicicletta
a cercare il vento
tra le sospensioni dell’equilibrio.

Dal trono

Calcare levigato
a tempo di salsedine
accoglie senza broccati
il desiderio di colmare
quanto fu a noi impedito nei secoli.
Voluttà di spugna marina
circuisce ogni difetto di pelle
brividi scivolano nelle rughe
e le rughe nel pertugio d’abisso.
Vergini al cospetto del mare
è tornato a bastarci l’uno anche essendo in due.
Un tempo, un luogo intagliato
da unico spazio
l’uno è il solo visibile
a noi e alla luce appena svegliata
nel tocco del Delfino che ci corre addosso.

Nuotata via (la Concordia)

L’agonia, pure, è una danza
di anime dai nervi affilati
condiscono l’uomo con l’orgoglio
d’onni-potenza,vestito altisonante
su manichini ricchi di ogni mancanza.
I calcoli estirpano la pianta di acciaio
criminale gramigna che soffoca il fiore
gli occhi del mondo esultano per carte ben compilate
senza davvero scorgere
sessantasei ali
non un rumore di piuma a incrinare
il requiem bevuto a pelo d’acqua.

Acciaio cadavere

Sorge
al ritmo imposto dall’uomo
l’acciaio che pianse temporale di grida
ha guance iniettate di rose ferrose
per celare la beffa
di chiamarsi Concordia.

Tramonta
al ritmo imposto dall’uomo
l’acciaio perlescente dei sorrisi di un viaggio
sgretolato su una distesa di grano
rito abbreviato per i Campi Elisi.

Acciaio
non luogo che assurge a corpo
quando viene abitato da pelle e sogni.
Cadavere
…al ritmo imposto dall’uomo.