Dieci tarli che spasimano polpa di lenzuola
raggrumano i contorni dell’inarcarmi gemito
fin nell’accanto delle tue pretese.
Una goccia di stasi
a far tracimare l’estasi.
Archivio mensile:Ottobre 2014
Lupi
A tingerci i peli bianchi
sfregando la ricrescita
sulla groppa della fulva stagione
rotoliamo di bonaccia, colline di pelle
nella tana del tramonto.
Vaniglia
Sovrascrivo di vaniglia
l’architettura di pelle
tracciata sul mio volere.
Il piacere è il pennino che progetta brividi,
la dedizione nell’ergermi città
a te consacrata
è cura minuziosa dei dettagli
che immaginano colonnati e intarsi
sull’inarcarsi d’ogni osso che possiedo.
Abdica la corona di alloro
dalle tempie spaesate
che t’accarezzo di profumo esotico
mentre srotoli il respiro
a rivestirmi il decumano maestro.
Finché vita non separi
Manca una corda
perchè il respiro sia intonato
quella costola che Dio
tolse al piumaggio del tuo esser uomo.
Girovaghi di bacio in bacio
le vite che vivi sono crocicchi nell’eternità
e lì rallenti il passo, ammirando l’intorno
il progressivo nitido della donna che sai
accorderà il saliscendi d’ossigeno
nella sostanza sprigionata
da un respiro diviso in due.
La frittura
Cristallizzata di iodio
golosa mitologia marina
destrieri dalle lunghe briglie
petali arricciati in singolari fiori
e quest’anello membranoso che mi infili all’anulare.
Hai i capelli vivaci di spuma
sei conchiglia di pelle
ascolto un tuo bacio fino al sentirmi vela
per l’unico fra i mari che non hai potuto immaginare.
Un nuovo giorno
Due spade impegnate
nel gioco tra torto e ragione
chinano il capo a riverenza del centro.
Lame, sfiaccate dal furore
patteggiano il compromesso chiamato cuore.
L’incapace
Intendi e vuoi
questa rosa diversa
nel vanto d’essere
refrattaria pietra.
Cucini lento
ma senza membrana tutto si scioglie
anche il patto col fuoco
è un’ombra bruciata che sfuga i petali.
Sarebbe bastato un dito d’adipe
intorno cui costruire quel muscolo chiamato amore.
Janus e Manta
Ci siamo arresi in nuvole, nell’ultima corsa del vento
al capolinea privo di segreti.
Deraglia l’arrivo, sfiorati a perdifiato
siamo toraci di scintille che incamerano ossigeno
quanto basta a ficcarci in terra
con la scusa di un temporale.
L’equilibrio sul centro dell’erba
resta difficile se le immagini gocciano e lavano direzioni.
Sul polso ho una bussola
una sola lancetta che indica un tempo immaturo.
Inventiamo quel “quanto ci resta”
diluiamo i piedi nel fango
a dargli densità di pietra
una chiave, poi una volta
come patrocinio di baci
e riserviamo alla fine
un torrione di carezze
finemente merlato dal benevolo ignoto.
La femmina in più
Addenta la mucosa che sostiene le labbra
tienila stretta fino all’ultima pulsazione
…il maschio gradirà il turgore del sorriso.
Sii prodiga di nero sugli scalini degli occhi
senza dimenticare di guarnire con un paio di ciglia
…il maschio gradirà il languore dello sguardo.
Esci di casa coi capelli impastati da un cuscino insonne
come se avessero fatto l’amore col vento
…il maschio annuserà per dissotterrare le impronte.
Sbatti le unghie, a iniettarle di smalto
che non cicatrizza ci vuole un attimo
…il maschio gradirà le carezze.
Aggiungi una femmina, una femmina in più
al tuo status di femmina
induci il diavolo in tentazione
e il becero maschio in confusione.
L’anima smagliata (a Rossana)
Privilegio
scrutare la stoffa degli umani
da un’anima smagliata come la mia,
con quella penombra che filtra e non sai
se è l’occhio curioso del fuori
o gli ultimi fuochi di questo mio amore
per cui la cenere è il prossimo rifugio.
Addomestico i sensi dispersi
tra geometrie di seta e cotone,
nel saliscendi di cruna
il tempo tatua confini.
Sempre
e ancora sempre
firmo un punto di sutura
all’altezza del cuore,
quel fastidio più spesso
che sia da memoria e insegnamento
per quei vivi che rinnegano il primitivo ingranaggio.