Congiunzione

Incarnati nei miei occhi.

Comincia dalle vene
seminale a manciate
sull’albume che abbraccia le iridi
azzurre e tremanti, ammutinate dal tuo insediarti.
Mentre l’appartarsi dei tuoi contorni si dilata
infettami di stupore
come una bimba che tuffa il naso nell’insù
e sbircia la finitezza del cielo
negli interstizi che le rosse foglie concedono all’autunno.

Ponte otto

Ti sei fatto trovare alla fine di un viaggio
intersecato nel primo,
interrotto da superbia impunita che sfida Natura.
Pelle disarcionata
galleggia lungo la rotta
inattesa dallo scoglio come dall’ultimo porto.
La fretta è arrugginita insieme ai corrimano
che scandivano stanze sempre in festa.
Emerso
oltre la ragione di quanto possa durare un’apnea
la polvere si impasta all’acqua
e t’arrampichi sulla scogliera
a profittare della brezza che ti asciuga
nelle sembianze di faro.

Torna

Torna come eri
ti rivoglio indietro
dalla mano di quel Tempo
in cui non ti conoscevo.

Non cerco uguaglianza
in ciò che scorre e quindi muta,
perciò torna
con tutte le tue differenze.

Dopo

Si sbilanciano figure
appena dopo il lampione
sono orgogli di edera
che rispondono alla verginità del cuore.
Vertigini basculano,
giocano a indovinarsi tra gli aggrappi delle mani.
Tu, jeans e anelli
la barba che preme
contro le gote, ti affermi uomo
istighi il rossore di carezze
piene e legittime, coll’ispido nero
che solca il possesso dal volto al collo.
Tu, leggins alzati da terra
succhi baci in punta di snickers
offri il mento alla bolla di colostro.
Danza timida nei fianchi
scosta gli zaini a pilastro del guscio.
Diventa fitto il tempio
la pioggia è golosa del suolo.

Gli attimi sono labbra.

Conti le ciglia
preghi la veglia,
mentre accade il vespro di nubi
il lampione rischiara.
Lo ricorderai, ragazza?
Fissa una canzone,
chè quando la riascolterai
saliranno a galla i lineamenti di questo amore.

Promiscua

Accendo la sigaretta
offrendomi al candelabro
plastica in patina d’argento
pezzo forte sulla tavola disillusa.
Si lagna con afrore di poliestere
la parrucca che sfiora la fiamma
rintano le ciocche nelle volute d’orecchie
che ascoltano domande al di là delle mura.
Già, mura
perchè voglio essere espugnata come fortezza
da pantaloni senza più sostegno
che bussano alla porta
rispettando codici di amanti o di clienti.
Uno…due…tre
finiva con “stella!” il gioco
che ora conta i gesti impiegati
a riporre lingerie tra le insenature di pelle.
Ti ansimano le nocche di quel briciolo di colpa
che si pulisce i piedi sullo zerbino,
le sento mentre sosto
nell’ultimo sguardo di insieme.
Asporto a cucchiaiate tutto il buono che ho
“Sbrigati, Promiscua!”, nascondilo in quel segreto di legno
accanto al profumo della dote filata
dalla nonna che tuonava il rispetto.
Libera, di me stessa
conto quanti anelli rendono questa porta sicura.
Il numero, non cambia mai.
Fisso, come il sogno infranto
di un anulare legato.

CH

Ultima notte della stagione di luce
sono tensione di carne e d’ossa
al cielo
dove aggrappo i connotati
strizzati dal superfluo
lasciando che il tuo sguardo
mi desideri in stella.