Nell’armadio ho un vestito sotto cellophane
ricordo di un giorno ma anche ormai scheletro
soffocato dal respirare quello che più tornerà.
Nel cassetto ho una foto
che si liquefa gli spigoli per farsi annusare dalla mente
ma non cedo, e mi argino i pori
sollevando le lenzuola.
Nel cassetto più basso
il sogno guaisce la scomunica
a tutti gli intenti,buoni per me.
Il braccio è una spira che ninna la preda
il dito sa di latte eppure non ricorda
se ha accomodato il sogno
a pancia all’ingiù.
Archivio mensile:Gennaio 2015
Punti di vista
Sono ritagliata
sono un panorama mozzato
negli occhi del dove abito.
Sale ai raggi
l’ipocrisia di sbiadire il vetro
per sbirciare l’estensione del mio sorriso
dietro al caffè.
Atto dovuto per natura
eppure so che sul fondo di quel bidone giallo
che si sveglia e perdona il ritardo a se stesso
c’è pura curiosità.
Lui è uomo
e me la prendo perchè non reggo mai il suo sguardo.
Poi quel raggio di innocenza
-una vibrissa caduta-
porta le labbra a ricomporsi
dietro a un separè di seta e d’onde,
come fossero appena uscite
da un bagno nell’alba.
Gioco amputato
DIRE. (cerca la bocca del Pensare.)
FARE. (cerca il corpo del Pensare.)
BACIARE. (cerca i sensi del Pensare.)
LETTERA. (una ciotola che non hai riempito.)
TESTAMENTO.
Chiusa, vigliacca chiusa
appena la associo a te
che rattrappisci nel divenire
ogni dote di volontà.
Sei pensato
solo dal mio starnuto,
che si dà a gambe levate.
Boboli (a ML)
Galleggiamo sulla natura
di una primavera fuori stagione
a bordo di dettagli da perfezionare.
Sappiamo che a questa panchina
mancherà sempre una doga
e un’altra sarà da riparare
ma nulla ci sta impedendo
di guardarti
di guardarmi e ridere come scemi
e far scrollare le spalle persino alle labbra
indifferenti a tutti i cortometraggi
che si narrano per far specchiare le allodole.
Fotofinish
Meriti
di non imparare più dai miei errori, così come dai tuoi.
Meriti
di non imparare più
dalla felicità.
Dire. Fare. Baciare. Lettera. Testamento.
Torno sabbia
retrocedo dalla battigia,
campo su cui ho respirato il pericolo
i polmoni che non hanno mai perso conoscenza.
Impilata in guglie
vestita di chicchi d’uva
ero castello oltre i confini del mare
benvoluta dalle onde che mi spingevano
gli atomi, uno verso l’altro
a darmi vertebre.
Un figurante mascherato di spuma
strappò la luna migliore
dal panorama cui piaceva osservarci
… INSIEME …
Una falce
della stessa sostanza di un occhio che punta
mi scolpì il petto
in parole di requiem.
Sciolta nel mare
naufrago nella mia casa,
regredisco assetata e priva di orpelli
fino alle dita per cui varrà la pena
farsi grave ed ammaccarsi alla fine di un viaggio
se la perenne immagine che vorrò portarmi dentro
sarà di un uomo gentile, che a denti schietti mi sorride.
Carta di imbarco
Io sono quella
che rende il sempre un errore
non importa se seguito da un mondo positivo,
dà fastidio il “sempre”.
Sono quella
che lega gli alluci alle nuvole e ti fissa capovolta
per darti la prova che il punto di vista non è stato creato
dalla tua vista.
Quella, Bravo! Quella sono proprio io
da ostrica come da panino con la frittata
sempre e comunque a leccarmi le dita
perchè l’amore ci cola sopra, e non torna.
Creata col sangue impastato nel vento
bizzarra e imbizzarrita
eppure pronta a rapire un battito al cuore
porgerlo alle labbra
perchè mi stai regalando un fiore, ed è di campo.
Una calamita che attrae la fame
chiamami coi connotati più complicati
divertiti a vestirmi di stracci o broccato
meretrice come imperatrice,
lascio che sia il tuo concetto di probabilità a decidere.
Per saziare l’indecisione
non ho bisogno di infiniti lanci di moneta.
Basta il colpo secco
del mio sorriderti…
scommetti uscirà proprio quella?
In ombra
L’orecchio in pancia
intriso d’ombra
ascolta il raggrinzire di pelle
lambirlo in onda… flebile
via vai che inturgidisce gli atomi in roccia.
Contrazioni
per un tempo che dilata un punto nella sua esclamazione
convergenze di accento acuto e grave
sulla vocale che trasmigra il piacere
nel suono.
Vortice
risucchiato in midollo
ed io cornice, per il dogma dell’amplesso.
La prossima mossa
Non so giocare a scacchi
se non con le tue dita.
Circuiscono avorio
bianco
nero
nella rapidità di un’alba
scaraventata in bocca alla mezzanotte.
Destrutturato il corpo
in coriandoli di piacere
si imbarca di tremore
il sudario con cui mi plachi, turgido già nell’implorare
la tua prossima mossa.
Naif
Letto.
Sciocco, non intendevo il participio
ma proprio il letto.
Che sia di un fiume
o da rimboccarci le coperte
mi sento un letto
su cui scorre
su cui piove
scegli tu cosa
purchè sia bevibile
e senza antidoto.