Cannibali
dai canini di ferro
nei picconi che sbriciolano sangue,
illusi d’ammazzare creta
per poi trovarsi tumulati
in carne e polvere d’ossa.
Dolciastro è quel filo rosso
che si scuce all’ombra di una crepa
come lingua che canta amore e saliva
sul lamento dell’arte.
Archivio mensile:Febbraio 2015
Viviamo e moriamo a rate
Vivo
morendo istanti
che so esistere
che non riesco ad afferrare
che non riesco a cavalcare.
Muoio
vivendo istanti
che so esistere altrove
eppure mai tutti li riesco ad afferrare
li riesco a cavalcare.
Viviamo e moriamo a rate
mai fino in fondo
mai troppo a fondo.
La somma
Il bianco
ha inghiottito tutti i colori
messi in pratica dal Creato.
Il latte è bianco,
alla prima suzione
marca di nero il singhiozzo ai polmoni
insegna il rosso alle vene pigolanti di passione
passando per una danza di speranza
-un prato tra i passi-
e rigurgiti di gelosia ai lati d’un discorso.
Mi abbasso
appena sopra te
come fossi un ciottolo, a levigarti
il brusio che scorre dalle narici alle ciglia.
Una patina di latte
il vezzo di un dito a sfiorarla
per poi solleticarmi
in tutti i tuoi colori.
Vouloir c’est pouvoir
Ho paura
nel buio che digerisce le ombre
e nei piedi mi allinea le profondità.
E’ notte ma non per le iridi
che girovagano il soffitto a passo di lucciole,
consolano il singhiozzo nelle caviglie
uncinate dai punti interrogativi.
Ho paura
del buio che contrae le ginocchia sullo sterno,
spasmi
che si distendono solo sotto le tue dita
desiderate da ogni collina che ho sottopelle.
Disegno trigonometrie improbabili
in cielo e sul materasso.
Volere è potere
… in uno sprazzo mentale
…in uno spruzzo di attimi.
Profumi ferrosi
di baci mozzicati
sei schiena piena di contraddizioni
disseminata di piume e pugnali.
Il mento è faro
sbanda la Stella Polare
il cielo si annoda
a specchio delle mie corde vocali.
Febbraio
Chincaglierie in frantumi
fanno tappeto sul pavimento da pochi spicci.
Sono sostanza
tagliente e polverosa
esplodono tra le mani della gravità
a somiglianza di frattali del dolore.
Non ho mai visto sorridere una scheggia
è insensato chiedermi il perchè.
Piuttosto, rifletto sul per come.
Per come sono cadute le cose
-a nocche contratte, sul mio capo-
dovrei allineare quei cocci a zerbino
e allacciarmici sopra scrupolose calzate di sangue.
Sai? Riesco a vedere il buono in uno spigolo
non scordo che la circonferenza nasce da trecentosessanta angoli.
Un piatto integro e un rossetto
un appiglio e una promessa.
Scrivo “28”
…i giorni di Febbraio
…le ossa che servono per comporsi in abbraccio.
Sin(e)
Inanelli rosari notturni
stazioni sferiche di via crucis
stridono nell’esofago
sfociano tra le labbra.
Ti osservo
hai una ragade sul volto,
non puoi chiamare bocca
quella geometria di disaffezione
da cui fiotta il muscolo rosso.
Tranquillo
non ce l’ho col tuo cuore,
non ti si vedrebbe neppure se ti rovesciassi la pelle.
E smettila
di sputare bruma e strabuzzare gli organi.
Non vedi che mi sto succhiando i piedi
a forza di toglierci le spine?
Mi hai fatta correre sui rovi,
un fachiro a perdifiato su un giardino bugiardo.
Non vedi?
Ah, già…non puoi (più)
con la retina
a capofitto
nelle palpebre.
Vita è Luna
Luna, nel suo primo quarto
succhia dalle stelle il sapersi in un frutteto
capovolto nei desideri
che maturano senza semina.
Vita, nel suo primo quarto
succhia da chi le vuol bene il sapersi in un giardino
umano nei sogni
sempreverdi solo se ci si crede.
Quanti cicli di gomitolo
dovrai svolgere, Vita,
per avvicinarti alla Luna.
E lo scegliere tra intrecciare un’ancora
per attraccare al sicuro
o intrecciare la fune
a passeggiare acrobazie
rimarrà risposta dovuta solo alla tua libertà.
San Valentino è un eufemismo
Tagliamo infinito
in parentesi di pelle
il tuo ombelico sulle mie anse
è l’orecchio assoluto per il tumulto.
Siamo un’espressione che non chiude mai la graffa
le convulsioni decelerano e s’arginano negli occhi
che incrini e delizi con cerchi concentrici.
Spuntano falangi dalla tua maschera
senza scrupolo… spuntano.
Il Piacere non ha badato a spese
nel darti livrea così regale
cadi a denti stretti e sul collo
sboccia avorio, misto a rugiada.
Adornami di stelle che i mortali usano a Carnevale
comprimi il cielo in cartapesta
a farne la scena del crimine su cui giaccio,
invertebrata Tua allegoria.
Poco infinito
Nasciamo legni
braccia e gambe alla massima distanza
a separare rotaie.
Cardiamo bambagia di pianeti
calciamo zolle che aspettano il proprio maggese
noncuranti semidei di infima statura
reclusi dall’Estremo all’angolo dell’organigramma.
(Teniamo duro
potrebbe esserci un infortunio del cielo
e la pioggia potrebbe cascare mansuetudine.)
Il Viaggio è solo nel mezzo
processo e processione senza vie di mezzo
sfoggiamo al dito il canino di Caino
elargiamo sputi di pregiata fattura.
Ci dilatiamo e contraiamo
asserviti al pensiero volubile di sbarre in ferro
eppure dalle subite crepe
fugge, anche stavolta
l’esalazione di un bacio.
Dio di te stesso
Architetture
rifrangevano idolatria,
l’afrore della superbia si snodava
fino sotto l’olfatto di statue ossequianti.
Facevi sanguinare gli ex-voto
e bellamente ne portavi memoria intorno al collo
-un fazzoletto di tisi-
Ora, via dagli sguardi imploranti
dalle ghirlande intrecciate a preghiera
nella clessidra rimane la luce
che osserva la polvere suggerire alla memoria
“Ricordati che cicatrizzerai in zolla.”
Abbi fede
solo nel tocco non più divino
per togliere la cenere
dallo specchio in cui ti abiti.