“…Non ho fatto l’amore abbastanza…”
“…Volevo diventare pilota…”
“…Appena esco da qui, devo disegnare le nuvole…”
Perdono quota i pensieri
dal cielo sono garza
che cicatrizza i crinali di un giorno ferito.
“…Non ho fatto l’amore abbastanza…”
“…Volevo diventare pilota…”
“…Appena esco da qui, devo disegnare le nuvole…”
Perdono quota i pensieri
dal cielo sono garza
che cicatrizza i crinali di un giorno ferito.
Incerte, le stagioni
se le sfogli a misura dei giorni,
come ti cadenzano il dentro.
Tour-en-l-air
Gonna
calzata su gambe appena disgiunte
e busto e braccia sincopati
lungo il tragitto di una spora.
C’è vento, suda negli spiragli
tra pensiero e cranio
ma non accoglie la mia saliva
a pregarlo di portarmi via.
Eppure peso un niente
fatto di piume disarcionate
solo, ho rachidi da soffiare
uno zufolo da consumarci i respiri.
Stridono
vertebre sullo stipite
ginocchia ischi caviglie allineati.
Disperata costellazione
nei tratti mi congiungo e vivo
a conati abbasso il predellino
stringendo le dita alla maniglia del viaggio.
Addosso, gli intrecci e la vita
disarcionano un sogno fallato
mai respirato dietro la finestra.
Si conficcano i crocicchi
con dovizia nei pori
lingue verdi leniscono
capocchie rosse e ossa in vista.
Come frutto bastonato
dalla terra su cui matura
mi sento molle e statica,
confido solo nel cielo
che smuova il bastone nero dall’ingranaggio
chiudendo il sipario sulla partita.
Bottiglia
sull’alveo d’una barca spiaggiata
quando l’ormeggio, con le sue vele
dovrebbe invece abitarti.
Chissà
quante labbra senza timone
t’avranno confidato
il mare di vivere.
Giocano i rami
sul tramonto che attende
lo spegnersi in luce
puntinata di Luna.
Sei cartilagine
strumento d’anatomia
per affliggerti croci e ghirlande.
Preme il martello, urge la nota
la corda solca l’aria
secondo i dettami della tua primavera.
Acrobate gocce
avviluppano le gambe
in seta vivente.
A testa in giù
scivolano intrepide
sui capelli del cielo,
nell’atto d’amore
che bussa alla terra.
L’impatto suscita una spora
quel qualcosa diventato già altro.
C’è la genesi del circo
in questo esercizio al trapezio,
la prima curiosità per la lingua dei bimbi.
Sbaracca il tendone chi apre l’ombrello
corre al riparo dal profumo dei sogni.
Sfoglio il soffitto
col mento retroverso
interpreto in sensazioni
i dettami graffiati sulla luna.
I crateri si rivelano bocche
le bocche, suoni
a specchio del fiato
tra labbra e diastema.
Ho gli occhi neri
metto paura al cielo
chino sul mio sembrargli pozzo.
L’eco è ciottolo
rimbalza al mio sentire
e grida condensa sul vetro.
Un velo di pelle, tra dorso e palmo
bussa di impronta
per potermi guardare.
Non danno manuale per la marcia e retromarcia
non danno bugiardino ma bugie, quelle si.
Non ci cresci però nasci,
non ti insegna un volo
solo quanti dedali sei
dal cuore alla pelle.
Non si presenta
convocato, invocato
quando è ora di tirare le somme
quando giuri a te stessa che andrai di sottrazione.
Gira voce si chiami Amore.