Lo stolto ha fretta e strappa
lei potrebbe ma non ricresce;
il vigliacco neppure la tocca
lei crepa la terra e lo spinge;
l’apprendista non sa in che guaio s’è messo
e piange. La magia è questa goccia d’uomo
l’erba spunta e carezza.
Archivio mensile:Giugno 2016
E’ stato bello
Incontrarsi sulla cornice di una foto
in spigolo a un attimo riflesso
quale era la nostra vita, gestita
dalla luce che ci sbatteva addosso
-noi conseguenza senza presenza-.
E’ stato bello
che è un titolo stupido per una poesia
ma è stato bello
che è un congedo stupido, ne ride pure la stretta di mano.
Continuo a pensare
a quanto sia stato bello tu a non baciarmi
-un bacio dalle mani troppo grandi per quella occasione-
e alla timidezza che dalle guance
si tuffò a inscenare l’alba, per cui arrivammo a sentire freddo e spaesamento
-come quel vecchio sulla via del silenzio-
in quel punto in cui non potemmo fare a meno di noi.
La voce delle cose (Ora che sei per me)
Questa attitudine a indugiare i passi
a sbollire, tra le ore, ogni frenesia
c’è da un po’ e se ne sta seduta
-a calice le sue mani
mesce il mio sentire-.
Ora che sei per me
le cose hanno la voce che mi piace ascoltare
mi rovescio finchè smetto di essere pelle, callosa pelle
e sgrano le ossa in nervi.
Solo allora sono percezione
e sorrido perchè il tuo whisky ha freddo senza labbra sul bicchiere
la mia sciarpa strepita se il sapone non è il tuo profumo
e le lanterne di carta esibiscono pallide scuse
per non riuscire a folgorare tutto il mare.
Su quel riflesso stacco e torno a te, che prendi la voce delle cose e ne fai mondo.
Mentre la musica va
Saprò esserti vento
fattezza voluta nelle tue ciglia assorte
e lucide di salsedine.
Uno sguardo al mare
un innesto di profumo.
Frizzeremo d’alba.
Bionda
Arrotola il tuo corpo
contro le sue dita
come una una carta straccia
una pelle da nulla.
Cenere tra le labbra
lui fuma e ti riduce così
sua dietro il sigillo di fuoco.
A pronunciare lui
impieghi il tempo di tre cifre
a tappargli le mani
impiegheresti il tempo di tre cifre.
Il SeiSeiSei è il banco e vince
farà martiri i ricordi spingendo l’ago
a diventare vena e coscienza in lui
che non potrà strapparsela
nè urinarla via.
Non posso avere
Il profumo che odora di appena spruzzato
la camicia con il prezzo in vista
un papavero che non sia dissanguato
le campane che fanno di un giorno la domenica
la ruga ancora morbida di schiuma
l’alba spalla a spalla
il bazar dei sogni anche se costano poco
certezza di quanto con te duri il tempo
briciole, se non della tua vita.
Il fiore in partenza
Stazioni in ciabatte
di genti stanziali
saluti in partenza al binario che non vorresti arrivasse
l’attesa è un nomadismo di gesti
pudori
sentimenti.
Nel moto perpetuo del predellino
passi alla rinfusa mi annebbiano
ti voglio e volto la salita
sosto le labbra sulla tua postura
è rimasta appesa a un fiore
ma proprio lui, ora, mi sorregge.
Le bambine parlano
Le bambine parlano nel parco
verdi di ingenuità e speranza sono fili in erba
quanto mai potrà fare male il vento che le insegue?
Le bambine perciò stanno
come la farfalla stampata sulla maglietta
controvento a un papavero che strozza la gola coi semi.
Doveva essere un’altalena
nel suo punto più alto a sfinare di risate l’orizzonte
doveva essere l’infanzia a becco spalancato
e natura che mai dimentica le sue figlie.
Di queste primavere non è dipinta però la loro vita
ma solo di un disegno che strilla nei suoi colori accesi.