Dell’arancia
quel succo tra polpa e buccia
è dolce ma brucia pure le labbra
come un istante degli occhi con te sotto le ciglia
e in quello dopo la pienezza del buio.
Archivio mensile:Gennaio 2017
Mentre passeggio
Se sia il caso
a riporre due colombi sullo stesso ramo
o piuttosto gli anelli che portano al collo
nel giungersi in atto di fede
questo mi chiedo e interrogo le foglie
che malandrine volteggiano auspici.
Le rose di Sirte
A Sirte le rose non sanno il colore
a Sirte nascono rosse, iniettate di vene
come diventa lo sguardo quando fissa il dolore.
Nella fuga le rose sgualciscono la strada
balbettano i boccioli al buio di un pertugio
che la bestia annusa e trova e lecca con violenza
di saliva nera è fatta la rugiada.
Le vere spine sono quelle che rimbalzano il corpo
allo stillicidio di essere un possesso
lo stelo piega l’arma ma non il capo
e incrosta di un sorriso la sua morte.
Il Cristo stanco
C’è l’alito di un Cristo stanco
nelle candele che fiammellano penombra
nei tarli che leccano il balsamo liturgico.
Stanco
dissolve braccia e gambe dalla croce
per arginare il cielo innevato
le rocce che urlano.
Sono absidi in rovina
le chiese e i nostri corpi febbricitanti ostie,
inutile spalare
quando sotto la neve non cresce più il pane.
Come due spighe
Tra le cosce stringo un thermos di caffè caldo
coi fari che albeggiano il Natale ti faccio cenno.
Sei già sulla strada, indifferente a che giorno sia
tra le cosce stringi brividi e il profumo della paglia,
un ricordo lasciato in chiesa assieme ai gesti di croce
che, schizofrenici, non ti perdonano mai.
Da dove partisti, che mangiatoia ti sei chiusa alle spalle
per venire qui? Non so nulla e non voglio risposte
tremo di caldo nel vedere che sai bere e sorridermi in un tempo unico.
Anche stamane ci abbracciamo nel mezzo
tu ancora da cogliere, io pronta al pane
come due spighe flesse a ponte
e sotto scorre il destino
e sopra corriamo, amica mia.
Le biglie
Nel parco c’è un tempo che calpesto
fatto di passi e di piccoli sassi
guizzi di avorio del tutto casuali
che sfiorano e dilatano il cerchio dei ricordi.
Chino gambe e braccia
nel gesto torno bambina, in ascolto
a quegli occhi di cui era fatta la terra
puliti di luce e semplici risa.
Le biglie rotolavano senza mai staccare il filo dello sguardo
dopo l’erba, foglie o fango le riportavo a me
e sentivo speranza, che sarei per sempre riuscita
a portare indietro qualsiasi cuore soffiato nel vetro.
Il dolore delle unghie contro un sasso
è il pungente sussulto che ora rimane.
Ancora sete
Dai polsi
mi inizi al mare, quando si fa abbandono
tra le ore di settembre. I miei occhi
sgravano la nebbia, quella piccola intemperia
che ti fa assaggiare le mattine di autunno,
che stacca il profumo dalla carta da parati
e lo incolla alle dita.
Vibriamo, di rimbalzo a ogni nota
inventata scartata succhiata
… ma la camera ha ancora sete. Allora
saltiamo di occhio in occhio per ogni cima del piacere
piangiamo, e dalla pelle dissaliamo.
La stella delle piccole cose
Sentirmi una stella delle piccole cose
un cavallino a dondolo da cui si irradia il tuo cuore
sentirmi petalo, in cura alle tue carezze
e ancora legno e fuoco in braccio a te
legno per il tetto fuoco per questa notte
che mi travasi in gola, fino a livellare
la rima dello sguardo col piacere.