Nel mio giacilio di gambe incrociate
la schiena a stelo increspato dal silenzio
compio il rituale dell’ascolto
di quei pochi auspici sottratti al destino.
A furia di scavare il cielo
e tu lo stesso, incontro a me
ci siamo raggiunti, scambiati di impronte
per cui tutto ciò che porto al viso
è uno sterrato del tuo viaggio
fango che tarpa gli occhi
resina che incolla il dolore in gola
pietre calciate fino al blu.
Per cui tutto ciò che porti al viso
è la mia stupida civiltà
un tappo di sughero leccato dal vino
marmellata e origano quanto bastano
a voltarmi e chiederti se mi ami.
Nel mio giacilio di gambe incrociate
ho disciolto lune specchi d’acqua
scaglie di pesci e lucciole, ogni natura propizia
a farti proseguire il viaggio.
Per quel tempo in cui saremo specchio
e vividi alla mente
ti chiedo, allora, prosegui
… in affluente, verso me.