Non avevo una favola

Non avevo una favola in testa
ritagliavo le stelle dai fari
con dita bambine, fino al soffitto
per vedere l’effetto del castello incantato.
Mai broccati frusciavano tra i miei passi
i capelli incolti di spazzola
i gomiti sul tavolo e in ragione di un volo
le favole erano mansuete, nel bel recinto di un libro.

Quante favole ho per la testa
soldati cavalieri, quanti prodi a parole
ma della polvere magica con cui m’hanno fatta regina
è rimasto solo il prurito nel naso.

Millenovecentonovantatre attimi di Veronica

Barcollo tra i marosi della droga
bevo respiro inghiotto per ostruire ogni poro
ogni orifizio, sennò c’entra
che sono disperato di te.
Due puttane coi tuoi capelli in testa si baciano sul letto
il diafano sui corpi mi tenta e terrorizza
vorrei leccarlo sputarglielo via col mio seme.
La troppa carne su questi visi mi acceca non riesco ad andare
rimango in poltrona, le zampe di mosca incrostate dall’alcool
le ali sbreccate dalle vertigini
sotto la tua figura muoio
tra le due figure sono finalmente zero.

Di figlio in padre

Ricalco sulla finestra
il vento della terraferma
corpuscoli di giochi che preannunciano papà.
Con lui sulla spiaggia inclino il sole
e nelle ombre siamo alti uguali
è tutto facile e possibile tra le sue mani forti.
Per un giorno voglio diventare il suo lavoro
capirlo quando guarda la mia camera
quando sceglie un giocattolo per il viaggio
quando chiude la porta e leggermente trema.
Piano, però! Voglio che quel giorno sia lontano
almeno come lui è più alto di me.
Ora ho voglia di pasta col sugo
mangiarla insieme a lui
e quando gli guardo il naso rosso
ridere di gusto perchè è il mio clown.

Il barattolo

Forse un’urna, avrei potuto scegliere
un’urna, di quelle che bussi e rintocca
l’eterno riposo.
Un barattolo sottile un vetro di luce
ho scelto uno di quelli in cui si conservano
le messi al calare della stagione.
Capelli unghie, li lascio alla rinfusa
quegli affetti che continuano a crescere
dopo che sei morta:
penso alle carezze sui capelli
elargite come altalene per cogliere la luna
penso che sotto le mie unghie annusavi la caparbietà.
Chiudo il barattolo
lo immergo nel sole a sobbollire i ricordi.
E quando sono pronta
che stai per dire di servirmi alla tua tavola
stringo un fiotto di luce e riduco in cenere
la grazia per cui ero ai tuoi occhi.

Fiordipelle

Se solo ti voltassi a cosa mi è successo dentro
vedresti il mistero di fiori sottopelle
risolversi sulla bocca delle rughe;
piccoli, diafani petali stringersi in una fitta corazza
e profumare le ossa.
Se solo capissi che continuo a sbocciare ma fuori strino
allevieresti la mia linfa al cielo
e con le iridi fragorose di primavera
ti salverei.

I legni

Le tue mani di uomo si ispirano a una ciotola
nelle carezze che accolgono il mio ventre girovaghi, aumenti il passo.
Mi annodo concentrica, primordiale intaglio
ricoperta di girandole, quante ne colorano le tue dita
distendo i legni alla luce del peccato, le tentazioni seccano.
Snodo nella bonaccia di pelle.

La vallata

Ho brama
di fare della lingua una vallata
stare ai tuoi crepacci come natura che attende le stagioni
in cadenza e conosciute, eppure lesta
a disarmarne i presagi.
Insinuare nebbia sulla tua pelle calda
per vederci decollare un volo di nuvole, quelle senza brusii
d’annunciare pioggia.
La pioggia, ecco! Scovarmela addosso
fatta fiume perchè nel frattempo ti sei insinuato
hai messo radici sulle mie labbra.
E più non governo il ciclo di vita del piacere.

Gloria e Marco

Gloria e Marco
abbracciati a bastargli una valigia in due
riempirla senza smuovere di dosso la paura.
Quanto è irragionevole fuori
sembra un tramonto a notte fonda
il caldo dell’estate da arrivare
è luce del fuoco
calore del fuoco.
Da lì in alto i sogni hanno un panorama diverso
così, per sentirsi in pancia al cielo
che vi ha partoriti all’altra vita troppo presto.
Prima di chiudere e partire
c’è spazio in valigia.
Una voce accoccolata
si schiude sul seno.
“Grazie, mamma.”

Ossessione

Scarpe conserte
scarpe slacciate
scarpe accavallate
scarpe abbindolate
scarpe rattrappite
scarpe distratte
scarpe ribelli
scarpe sottomesse
scarpe sguarnite
scarpe sgualcite
scarpe impietrite
scarpe indifese
scarpe ammalate
scarpe implorate
scarpe assetate
scarpe silenziose
scarpe proscritte
scarpe nella lista della spesa
scarpe in attesa.
E qui fermo il viaggio
pindarico illogico
e scendo dalle scarpe, tutte quelle viste, misurate, giudicate.
Voglio che i miei piedi siano spolpati
da un branco di fili d’erba.

Il mio destino di foce

Spirali di conchiglie affiorano come sorrisi tra la sabbia
conchiglie tra le mie dita, come fiori di mare.
Sei un fiume che non conosce regole
da quando rinasci di prima pioggia sul crinale
a quando batti i pugni a letto, e sbordi.
Non c’è fatica nel mio destino
inondi dalla radice degli occhi
e guardo in me il carisma del sole che si sparpaglia a tramonto.
Dissolvi il centro in quiete
l’assenza senza insistenza.

Tra le mie dita conchiglie, sono fiori di mare.