Tra la stanza e il cielo

Ora che il tempo è nel suo senso finale
penso ai sabati trascorsi tra questa stanza e il cielo
a portare stagioni nell’aria rarefatta di medicine
e dove c’era pioggia, a riderla via
tanto, bastava quella che precipitava in gola.
Semplice fingermi giullare
tradivo tutti, non mia figlia
ascoltava i nitriti della rabbia e si appoggiava come una carezza
sul manto della mia inquietudine.
Ora che il tempo è nel suo senso finale
porto via dalle pareti gli unguenti per le tue ferite
e senza chiudere la porta cammino tra fiori rossi
però, papà, tienimi per mano fino al nulla
e non accecherò.

Senza peccato

Ti osservo
hai un taglio sul volto,
non puoi chiamare bocca
quella geometria di disaffezione
da cui fiotta il cuore.

Tranquillo
non ce l’ho con lui,
non ti si vedrebbe neppure se ti rovesciassi la pelle.

E smettila
di sputare nebbia e strabuzzare gli organi.
Non vedi che mi sto succhiando i piedi
a forza di toglierci le spine?

Mi hai fatta correre sui rovi,
un fachiro su un giardino bugiardo.

Non vedi?
Ah, già… non puoi più
con la retina
cucita
nelle palpebre.

L’università della strada

Seduto in un giorno indistinto
ricordi le immagini del passato
una poltrona una lampada, il pranzo in cucina

indossi gli stessi abiti di quell’altra vita
la schiena tra la serranda abbassata
e il marmo che sa di luce piena,
di passanti frettolosi.

Qualcuno ha gettato una sigaretta
nel tuo cappello gli è sfuggita una moneta.

L’università della strada è fatta di spalle
curve sul cuore dove non si parla più di te
leggimi questo racconto che ti fa stare
assorto nella trama
intento a capire quando sia cambiata
senza avviso né titoli di cronaca
troppo occupata a mangiare il passo
dei giorni.

-foto di Monica Chiozzi-
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Neve di sale

Libertà,
anche se costa una burrasca.
I miei occhi aggrappati
respirano questo.

Libertà,
anche se annego nella burrasca.
Respira questo il mare
aggrappandosi ai capelli.

Mi tranquillizza
il sospetto che ci sia un cielo
a comandare la neve e il plotone delle onde.

Un fiocco di sale
lecca e non brucia
sotto le unghie.

Piccolo Atlante

Porti in spalla i litigi del mondo
come un piccolo Atlante
forte, nella tua fanciullezza
ti sporchi le dita di curiosità.
Inverti lo spazio tra sogni e realtà
lo scontro produce sorrisi di suoni
in terra lasci biglie colorate
e il cielo canta di bolle di sapone.

L’antico

Ti pregavo nelle stelle
in ogni simbolo che avesse un’altura da scalare
stringevo tra le labbra la terra
granelli più potenti di me che ti cercavo senza saperlo.
Capocchie di spilli
meteore, tempo nella clessidra
l’antico era in ogni iride
da infinito mi strinsi in retta
segmento
punto
e mi lanciai dalla bocca che avevo ancora
verso la tua pelle ignota.

Una goccia di magma
quietata
proprio lì.

Sotto le ciglia

Quante cose ho sotto le ciglia?
Un vaso di fiori freschi
per rinfrancare lo sguardo
un filo steso che richiama a sé
come l’amore riesca a vestirci
che richiama a me i tuoi petali, a te i miei
e nello scambio ci incontriamo
sulla corolla di un bacio.

Nonsense

Sono stata amata anche stamattina
mentre passeggiavo tra la natura indulgente
e lo stesso sciocca arida presuntuosa, come l’umanità
che ti sfiora nella fretta e tu ingoi e solo poi assimili
occhi pieni di buio e passi leggeri di luce.

Adoro dire cose che non servono a niente.

Aldidove

Si cerca lo spazio tra carne e vena
il vuoto a perdere in bossoli di polvere
ci si occlude una narice per stare folli
e giù nel pozzo, a ingozzarsi
dell’ombra persa poco prima
quando una lama spana la vita
e l’occhio che muore cerca il suo dove.